domenica 17 novembre 2013

IL MIO PRIMO (E ULTIMO) GIORNO DAL PARRUCCHIERE CINESE

I capelli per una donna sono come il calcio per un uomo. "Avere i capelli in ordine" conta più di un vestito o di un paio di scarpe con il tacco. Un nuovo taglio di capelli denota un periodo di cambiamento, la messa in piega fa sentire migliore, per non parlare di tinte, shatush e via dicendo. Anche se c'è da aspettare, da leggere mille riviste prima di un lavaggio, l'attesa dal parrucchiere varrà sempre la candela. Sappiatelo. Non c'è niente di meglio di un pomeriggio trascorso davanti ad uno specchio, tra phon accessi e odore di lacca. Sempre che non si vada di fretta! Certo perseverare è diabolico, ma prenotare di tanto in tanto un posticino su quella sedia rotante è come concedersi un cucchiaio di nutella quando si è nervosi o una vaschetta di gelato davanti al film preferito. Per molte sarà anche un lusso o una perdita di tempo, per me è la pausa perfetta. Tant'è che la prima cosa che faccio quando scendo dalla mia famiglia durante le ferie o le feste è una seduta dal parrucchiere. Uso il termine "seduta" non a caso. Una regola importante. I parrucchieri non sono tutti uguali. Il parrucchiere di fiducia è quello che accontenta le tue richieste, si complimenta con te, ti offre il caffè, ha i giornali aggiornati, compra l'ultimo numero di Glamour, ha le luci alte per minimizzare i difetti, ha posto quando chiami, propone sempre prodotti nuovi e ti fa lo sconto. Il parrucchiere cinese non è nulla di tutto questo. Il parrucchiere cinese è gestito da cinesi è economico e veloce. È il fast food dei capelli. 
L'apertura fino alle 21 e il costo di 10 euro per una piega sono le chiavi del successo di un salone cinese. Se si aggiunge la prenotazione non obbligatoria e l'attesa irrisoria si capisce perché tutti prima o poi siano tentati dal provarlo. Io non sono da meno. Tra le prime differenze che ho notato, mentre un ragazzetto con le unghia appuntite mi lavava i capelli, usando un solo prodotto indistintamente, è che non si fa pettegolezzo. Il tanto famoso "l'ho sentito o letto dal parrucchiere" non esiste. Primo perché tra di loro parlano cinese, secondo perché non ci sono giornali di gossip. Tutt'altro. Solo riviste specializzate di tagli. Se si desidera portare i capelli in un certo modo basta indicare una figura o portare una foto. Copiare è nel loro dna. La mia folta chioma è passata repentinamente, senza che me ne accorgessi, dal ragazzetto con le unghia appuntite e le dita molli, ad una signora alle prime armi con l'asciugacapelli, fino ad un altro giovane che ha portato a termine la piega, completata poi dalla titolare del negozio con un efficace colpo di piastra: "pelchè fuoli piove!", ha detto. Il risultato è stato un liscio effetto spaghetto. Dopo tutti quei passaggi anche i miei capelli, risaputamente mossi, si sono arresi. Sono andata via soddisfatta, ma con la consapevolezza che non ci sarei mai più tornata. "Signolina, lo scontlino". Mi ha gridato la proprietaria, mentre uscivo dalla porta e la radio passava Marco Mengoni. 

mercoledì 6 novembre 2013

BASTA PIANGERE!

"Basta piangere!". Parola di Aldo Cazzullo. Suona come un monito, ma "è una frase d'amore", come ha spiegato lo stesso autore e inviato del Corriere della Sera, il titolo del suo ultimo libro "Basta piangere! Storie di un'Italia che non si lamentava", edito da Mondadori (14,50 euro) e presentato a Perugia all'anteprima di Umbria Libri 2013. "E' la prima volta che esco dalla langa", ha esordito, ostentando un milanese verace, il giornalista, davanti alla platea della sala dei Notari, ascoltatrice avida di alcuni passi del volume letti direttamente da una giovane attrice. Prima di cominciare a parlare, lo scrittore si è rimboccato le maniche, o meglio, ha arrotolato quelle della sua camicia (un po' alla Bersani per intenderci, anche se ha lodato Renzi), quasi a dire che parlare di passato con uno sguardo al futuro è roba faticosa. Tutta roba di cui è intriso pero' il suo libro, a quanto pare. Speranza e futuro sono infatti le parole chiave di un volume che parla molto d'Italia che "allora non era migliore - ha detto lo stesso Cazzullo - anche se il futuro non era un problema come oggi". Tutto questo in risposta alla domanda dell'intervistatore sul futuro visto in passato come opportunità. E da li tutta una serie di avvenimenti, ricordi, usanze, abitudini e termini legati agli anni del boom economico. "Prima il femminicidio - ha continuato il giornalista milanese - non faceva notizia, si chiamava delitto d'onore". Insomma prima non si viveva con più facilità, basta pensare a lotte, rivoluzioni e guerre a cui hanno partecipato i nostri nonni e i genitori dei nostri nonni. Oggi la situazione non è meno dura, sicuramente, colpa del mondo globale, dell'uomo che deve fare puntualmente i conti con le macchine e la tecnologia. Secondo Cazzullo, per guardare con fiducia al futuro, i giovani devono trovare quello scatto che gli permetta di fare strada, con la triade tecnica-sapere-esperienza e un pizzico di sano sacrificio per non cadere nella tentazione di cedere il lavoro all'immigrato che offre più ore e si accontenta di meno soldi. "L'Italia - ha detto l'autore - è un Paese fermo, che aspetta la nottata e rischia cosi di vedere il suo cadavere passare nel fiume". E ancora "I giovani non devono pensare di vivere nel Paese sbagliato". Tutti noi, secondo Cazzullo, possiamo fare in modo che l'Italia migliori e non diventi "questo Paese", ma "il nostro Paese". Come? Un pezzo alla volta e grazie alla marcia in più delle donne. Dalla storia (guerra del Kippur, dittatura in Spagna, Cina di Mao) ai ricordi d'infanzia (Natale, nonni, regali, giochi, musica), il libro ripercorre uno spaccato dell'Italia che arriva a due svolte importanti che Cazzullo indica negli anni '70, con la fine di una stagione e l'inizio di quella segnata da personaggi del calibro di Renato Zero, e nel 1992, con il passaggio dalla lira all'euro. Gli anni più felici? Quelli '80, in cui l'Italia riesce a cambiare umore grazie al calcio, a cui è dedicato un intero capitolo intitolato "Gli ultimi anni che siamo stati felici". Il richiamo obbligato all'Umbria è arrivato con un beneplacito nei confronti di un modello fatto di manifattura, artigianato e turismo che, secondo il giornalista, puo' essere esportato. Come del resto tutto l'intero Paese che definisce "software del mondo". Egli affida le sorti della sua rinascita alle città e ai cittadini, che nel contempo, ha detto, hanno poca fiducia in loro stessi. Per questo forse hanno sempre bisogno di un leader, come poi accade nelle migliori democrazie, da Craxi a Berlusconi, fino a Renzi, incluso Grillo. "Capisco le ragioni di chi l'ha votato, ma prendo le distanze da demagogia e populismo", ha sottolineato un Cazzullo convinto, invece, del ruolo di un sindaco giovane di una città come Firenze che smuove le masse a destra e sinistra. Comunque "L'italiano non ama la politica - ha detto l'autore -, pensa che sia a servizio del tornaconto personale dei parlamentari, troppi e ultra pagati".In Italia, insomma, l'interesse privato prevale su quello pubblico. Amen.
Non è finita.
L'amaro in bocca è arrivato alla fine (nonostante l'elenco delle prelibatezze da mangiare che i suoi nonni preparavano durante la settimana e all'arrivo degli argentini), quando Cazzullo parla del ruolo del giornalista oggi. Colui che, nella maggior parte dei casi, pensa che il mondo finisca là dove termina la sua mente. E poi la rete, la crisi e il lavoro che non produce più ricchezza, ma è il denaro stesso che si genera da altro denaro.

Tutto chiaro. Bene, io non piango e mi rimbocco pure le maniche, ma se potessi scegliere dove e quando nascere, non so se sceglierei ancora l'Italia e il 1985.